NEL GIOCO DEGLI SPECCHI COMUNICARE L'INVISIBILE

Di Dante Balbo



Denuncia e speranza nel messaggio del Papa per la giornata delle comunicazioni sociali. E Caritas ... corre con lui.


LA CHIESA IN TV

La posa dell'antenna per la trasmissione tramite un telefonino o natel come lo si chiama qui, meglio che la sagra del Santo Patrono. Non lo dico io, lo dice un prete, forse vero, forse fiction, non lo sapremo mai, che pubblicizza una marca di questi apparecchi telefonici sulle reti della vicina penisola. Lo sanno bene i comunicatori sociali, quelli che la comunicazione la manipolano per l'unico scopertine/copo che li interessa, far soldi, che se un cellulare lo usa anche un prete è proprio uno smacco non averlo. D'altra parte religione e affini tirano molto sul mercato della pubblicità, basti pensare a S. Pietro chiamato in causa per un caffè! Una voce risuona nella notte. L'11 maggio è stata dimenticata la giornata mondiale delle comunicazioni sociali, mentre loro, le comunicazioni sociali appunto, hanno sempre più peso nella nostra vita. Il Papa, per l'occasione aveva scritto un messaggio, di poche cartelle, ma denso di riflessioni che forse non bisognerebbe lasciar cadere nel mare magnum delle informazioni ricevute e cestinate per eccesso di materiale.


PIÙ INFORMAZIONE O PIÙ ESCLUSIONE?

Una delle sue considerazioni infatti, riguardava proprio il ritardo con cui coloro che avrebbero qualche cosa da dire si ritrovano nei confronti di chi ha i mezzi, magari senza troppi contenuti. Il risultato è che anche per l'informazione valgono le stesse leggi che per l'economia, per cui vi sono potentati che impongono la loro cultura, penetrandoci fin nelle midolla, senza che noi ci possiamo apparentemente fan granché. Da un lato il villaggio si globalizza sempre di più, mentre dall'altro, g esclusi sono sempre più tagliati fuori dalla possibilità di dire la loro. La Chiesa, nonostante le mondo-visioni e la sua presenza nei media è, rischia di essere, fra questi esclusi.


O SI CAMBIA O SI TACE

Ma come dice il Pontefice, le colpe non sono tutte da una parte sola. Se è vero che la cultura dominante h tutto l'interesse ad ingoiare la Chiesa fra le miriadi di istanze che si muovono nel vortice dell'informazione in pillole quotidiana, utilizzando prevaler temente lo strumento della derisione della minimizzazione, anche nella Chiesa si rischia di perdere il treno perché si tenta di usare la cultura de la comunicazione con lo stesso criterio che andava bene per parlare dal pulpito. Abbiamo un'occasione incredibile di diffusione del Vangelo, ma dobbiamo cambiare testa, convertirci alla cultura dei media, senza divinizzazioni demonizzazioni, ma con realistica presa d'atto che il mondo cambia e, o cambiamo con lui, o saremo fuori dal gioco.


NELLA CULTURA DELL'IMMAGINE COME CONTA QUANTO CHE COSA
Leggo sulla settimana enigmistica u pensiero di Shakespeare: "Non basta solo parlare, si deve anche sap
erlo fare nella giusta maniera." A duecento anni di distanza Giovanni Paolo II dice la stessa cosa: la comunicazione così come si è evoluta negli ultimi decenni è un'occasione straordinaria di annuncio dell'unica verità che conta per l'uomo, purché lo si faccia senza timore dei mezzi e stando dentro al gioco. La battaglia sembra più drammatica, perché di vaste proporzioni, ma è quella di sempre: dire l'invisibile, testimoniare una verità che pochi vogliono ascoltare, giudicare il mondo e le sue regole con l'autorità di una identità che non ci siamo costruiti noi, ma ci è stata donata e di cui noi siamo solo messaggeri fragili, incoerenti, ma rapiti dall'abbondanza di una vita che non può tacere dinanzi ai progetti di morte che ci sovrastano. Anche nello scrivere è difficile uscire dalla logica americana dei buoni e dei cattivi, il Western è sempre dietro l'angolo, male cose sono un po' più complesse di così. Nel mondo infatti non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra, nemmeno nel campo dell'informazione. Una cattiva informazione cristiana è peggio di una buona disinformazione laicista.


CARITAS VIVE PER INFORMARE, INFORMA PER VIVERE

Dentro questa complessità Caritas Ticino si muove con qualche certezza e molto travaglio. Ci consola l'appello del Papa a non disdegnare tutti i mezzi di comunicazione che oggi sono a nostra disposizione, per annunciare l'opera di Dio nella storia. Questa infatti è una delle poche certezze di cui ho appena parlato che ha fatto sì che Caritas Insieme, la testata informativa di Caritas Ticino nascesse e occupasse ogni spazio ragionevolmente disponibile nel settore informativo. Se infatti scopertine/copo di Caritas è di sostenere gli esclusi, non vi è spazio migliore dell'informazione in cui agire. Qui non solo la Chiesa è relegata nelle catacombe del ridicolo pubblicitario o degli scandali a sfondo più o meno sessuale, mala cultura della solidarietà è minacciata dalle onde dell'odiens, dalle mode della bontà di massa o, peggio, semplicemente dalla fretta di un'informazione che viaggia al ritmo delle valanghe dei dispacci di agenzia. Di fronte a questa sfida in cui è in gioco il futuro del mondo e la sua trasformazione in una città degli uomini o in una guerra totale di tutti contro tutti a colpi di spazi satellitari, avevamo due strade, nel nostro piccolo. Potevamo tirare a campare e buttare tra gli altri anche il nostro manifesto per la colletta nelle bucalettere straripanti dei poveri parroci, tentando così di raggranellare qualche spicciolo, o pubblicare il nostro bollettino sperando che qualche anziano di buon cuore, leggendo Caritas sul frontespizio ci mandasse un obolo. Forse per un po' di tempo saremmo sopravvissuti, poi saremmo stati inghiottiti dalla macchina inesorabile dell'invecchiamento e dell'assenza dagli spazi di comunicazione sociale. L'altra possibilità che invece abbiamo scelto è stata quella di accettare il rischio di sporcarci le mani, di cacciarci nel groviglio dei sistemi di comunicazione, con un unico progetto sul tavolo: dar voce agli esclusi, sia perché poveri e senza mezzi per essere ascoltati, sia perché ricchi di umanità ma incapaci di adeguarsi al linguaggio mediatico. Noi stessi rischiamo di essere fra quegli emarginati nel villaggio globale. La posta in gioco è altissima: la nostra sopravvivenza, non solo come strumento di informazione, ma come Caritas, organo di servizio della Chiesa locale per i poveri. Il metodo scelto è rischioso: fermare nella corrente quotidiana dell'informazione quelle notizie che rimangono sommerse, quelle speranze che rimangono inascoltate, per amplificarle il più possibile, con poveri mezzi, come quattro specchi di un mondo virtuale, quaranta minuti di televisione a settimana, mezz'ora di radio in diretta su di una rete locale ogni sette giorni e quaranta pagine di rivista ogni due mesi. L'obiettivo è immenso: dire non solo tra di noi la nostra esperienza della sovrabbondanza di vita che abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentare, nella presenza di Gesù Cristo, Signore del cosmo e della storia, da rintracciare tra le pieghe del quotidiano di uomini e donne del nostro piccolo Cantone. La crescita esponenziale di Caritas Insieme nei suoi indici di penetrazione tra i lettori e i telespettatori, l'esperienza radiofonica è ancora troppo giovane per essere valutata, ci dice comunque che il rischio valeva il gioco.